LA MUSICA PERDUTA DEGLI ETRUSCHI
Stefano Cocco Cantini e Simona Rafanelli
21 gen 2014
LA MUSICA PERDUTA DEGLI ETRUSCHI

Scomparse le note, persi i suoni e i canti. La musica etrusca è solo in parte ricostruibile  tramite gli strumenti musicali ma… con occhi attenti  (Fitzi Jurgeit, 2009)

Introduzione di ROBERTA PIERACCIOLI

Coordinatore della Rete dei Musei della Provincia di Grosseto.

Nell’antichità la musica permeava quasi ogni momento della vita, sia pubblica che privata: con il canto e la danza, era infatti presente nelle cerimonie religiose, negli agoni sportivi, nel simposio, nelle feste solenni, perfino nelle contese politiche, e aveva un ruolo preponderante anche nei momenti privati come i matrimoni e le cerimonie funebri, l’intrattenimento domestico, il corteggiamento. I Greci la consideravano elemento imprescindibile per l'educazione dei giovani e addirittura come arte di Stato; per gli Etruschi era un elemento fondamentale nella società, presente in ogni aspetto della vita quotidiana come testimoniano gli autori antichi: Ateneo ad esempio[1] ci racconta che gli Etruschi a suon di musica impastavano il pane e perfino fustigavano i servi!

Le informazioni che abbiamo sulla musica dell'antichità classica provengono sia dalle fonti letterarie che dall'archeologia. Le fonti letterarie sono numerose ma purtroppo anche molto lacunose. Conosciamo ad esempio una cinquantina di frammenti greci (papiri o epigrafi), datati dalla fine del V al III secolo a.C., che riportano testi accompagnati da una notazione costituita da lettere dell’alfabeto con segni aggiuntivi collocati sopra il testo, vere e proprie partiture dell’antichità. Dal IV secolo a.C. diventano abbastanza numerosi i trattati sugli strumenti musicali ma la maggioranza di questi documenti purtroppo è andata perduta e dunque ne abbiamo solo notizia indiretta. Informazioni più abbondanti derivano invece dal ricco apparato iconografico tramandatoci dall'arte figurativa (pitture parietali, vasi dipinti e altro) e dai reperti archeologici costituiti da frammenti di strumenti musicali.

Nonostante questa documentazione relativamente abbondante, solo di recente lo studio della musica dell’antichità classica è diventata una vera e propria disciplina scientifica, che ha preso il nome di archeomusicologia. In pochi anni questa disciplina ha prodotto una grande quantità di informazioni, sperimentazioni e pubblicazioni e al conservatorio di Trento è stato introdotto il primo corso di “Archeologia musicale del mondo antico”.

Le ricerche più approfondite in questo campo, però, riguardano il Vicino Oriente e la cultura greca e romana. Infatti, nonostante l’enorme importanza attribuita dagli Etruschi alla musica, sulla cultura musicale di questo popolo non abbiamo fonti letterarie dirette ma prevalentemente attestazioni iconografiche, e forse per questo è stata indagata finora solo marginalmente dagli studiosi. Sappiamo che la musica etrusca, come del resto altri aspetti di questa cultura, è stata fortemente influenzata da quella greca, ma sappiamo anche che ha prodotto elementi molto particolari e originali. A differenza dei Greci, ad esempio, gli Etruschi preferivano gli strumenti a fiato, in particolare il doppio aulós, ma anche il cornu, il lituus e la sálpinx. Sembra inoltre che gli Etruschi fossero anche degli innovatori in questo campo: la città di Tarquinia, ad esempio, sarebbe il luogo di nascita del lituo, che i Greci chiamavano appunto tyrrhenikè sàlpinx attribuendone l’invenzione proprio agli Etruschi[2]. Nel 1985 sul Pian di Civita di Tarquinia all’interno di un deposito votivo, insieme a un’ascia e a uno scudo entrambi di bronzo, è stato rinvenuto un esemplare di lituo anch’esso in bronzo che sembrerebbe suffragare l’ipotesi dell’invenzione di questo strumento proprio da parte degli Etruschi di Tarquinia[3].

Insomma musica ed Etruschi sembrano un binomio inscindibile ma alla musica etrusca non è stata dedicata attenzione e comunque solo da pochissimo tempo: ad esempio dal 18 al 20 settembre del 2009 si è svolto a Tarquinia il convegno internazionale “La musica in Etruria” e contemporaneamente nel Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia si è tenuta la mostra “Strumenti musicali nell’Etruria meridionale”; nel 2010 inoltre si è tenuta Castelluccio di Pienza (SI) la mostra “Musica e archeologia: reperti, immagini e suoni dal mondo antico”, dedicata però non soltanto agli Etruschi ma appunto al mondo antico in generale. Questi studi hanno avuto il grande merito di focalizzare l’attenzione degli studiosi sul tema fortemente trascurato della musica etrusca.

 

Il progetto della Rete museale della Provincia di Grosseto

 

La Rete museale della Provincia di Grosseto ha voluto dare un proprio contributo all'argomento avvalendosi della collaborazione di due professionalità note ed importanti presenti nel nostro territorio: l'etruscologa Simona Rafanelli, Direttore del Museo Archeologico "Isidoro Falchi" di Vetulonia (Castiglione della Pescaia - Gr), e il musicista Stefano Cocco Cantini, sassofonista jazz noto a livello internazionale. I due professionisti si sono incontrati quasi casualmente in occasione di un dibattito pubblico in cui si parlava di Etruschi nel settembre del 2011 e dal loro dialogo sono emerse diverse osservazioni interessanti e inedite sulla musica etrusca che valeva assolutamente la pena di approfondire. In particolare alcune osservazioni fatte dal musicista hanno fatto emergere un vuoto in quel preciso campo: infatti fino ad ora di musica del mondo antico, etrusco per quel che riguarda il nostro specifico interesse, si sono occupati prevalentemente musicologi, non musicisti, e le osservazioni di un musicista hanno subito messo in evidenza la necessità di un approfondimento. Da qui è nato il progetto speciale che la Rete museale maremmana ha voluto dedicare alla "musica perduta degli Etruschi" e che si è inserito nel programma di attività del 2011.

I due esperti hanno lavorato a stretto contatto. Simona Rafanelli ha sviluppato una ricerca mirata sulle fonti storiche e iconografiche, raccogliendo testi tratti dagli storici antichi che hanno parlato degli Etruschi e della loro musica, immagini dell’arte etrusca (pitture parietali delle tombe, pitture vascolari, bassorilievi, incisioni, etc.) ed una bibliografia alla quale fare riferimento anche per il lavoro del musicista; Stefano Cantini, servendosi dell’archeologia e mettendo in campo le sue competenze musicali, ha studiato le immagini e le descrizioni delle fonti antiche interpretandole sulla scorta della sua esperienza per cercare di capire come e che cosa suonavano gli Etruschi, quali suoni potevano trarre dai loro strumenti e in che modo questi strumenti potevano essere suonati. Da queste due prospettive diverse e complementari con le quali hanno analizzato le fonti documentarie e iconografiche, i due esperti hanno messo a punto una serie di riflessioni e osservazioni nuove e originali che abbiamo voluto tradurre in un lavoro di alta divulgazione scientifica destinato al pubblico più vasto.

In primo luogo ne è nata una performance, una sorta di conferenza/spettacolo strutturata prevalentemente come intervista ai due esperti intervallata anche da letture dei testi antichi, spesso interpretati dall'attrice fiorentina Daniela Morozzi che con la sua capacità comunicativa e bravura ci ha accompagnato in molti incontri, e da brani musicali. La performance è stata portata tra 2011 e 2013 con un vero e proprio tour in tutti i Musei Archeologici della Maremma e poi della Toscana (Siena, Artimino, Firenze), quindi al di fuori dei confini regionali (Milano, Paestum), per divenire protagonista alla prima Edizione della Borsa del turismo culturale Art&Tourism alla Fortezza da Basso di Firenze (2012) ed alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum (2013). Questa conferenza/spettacolo ci ha permesso di coinvolgere non solo il pubblico di appassionati di archeologia ma anche quello di appassionati di musica e di trasmettere le conoscenze che abbiamo fino ad oggi sulla musica etrusca arricchite dalle importanti e originali osservazioni scaturite da questo lavoro.

Il grande successo ottenuto con la performance, anche tra gli studiosi e gli esperti che sono stati presenti, ci ha indotto a realizzare dapprima una pubblicazione, seguita da un documentario bilingue in corso di allestimento. In questo lavoro i testi di Simona Rafanelli e di Stefano Cocco Cantini si completano e si integrano dando un contributo originale e importante agli studi sulla musica di questo affascinante popolo nella cui storia affondano le nostre radici.

 

Dialogo  fra un archeologo e un musicista

Roberta Pieraccioli - Le fonti letterarie, i filosofi, tra cui Aristotele per esempio, raccontano che la musica nell’antichità greca era una parte importante nella vita degli individui e faceva parte dell’educazione dei giovani; addirittura l’uomo colto veniva definito “mousikòs anèr”, ossia l’uomo musico/musicante. Domando quindi all’archeologo, all’inizio di questo racconto, se è possibile compiere la stessa affermazione a proposito del mondo etrusco, cioè comprendere quale parte aveva la musica nella società etrusca.

Simona Rafanelli - Ab initio, una precisazione. Ciò che noi oggi chiamiamo “musica” evoca subitamente ed abbraccia un mondo fatto di suoni, vocali e strumentali, organizzati in melodie canore accompagnate e sostenute dalla “voce” di uno o più strumenti capaci di comporre un’infinita serie di armonie che vanno a colpire massimamente le sfere dell’udito e per suo tramite la corteccia cerebrale e la sfera emozionale dell’individuo, ma il vocabolo “musica” compie in effetti un percorso più complesso, derivando la sua origine dal termine greco mousikè, che a sua volta ne sottende un altro, tèchne, i quali, uniti, significavano “l’arte” o, più specificamente, “le arti delle Muse”, in ordine al fatto che il termine collettivo “arte” era declinabile in tutte quelle forme di espressione, quali ad esempio la poesia, la danza, il canto, strettamente correlabili, nel quadro della medesima performance artistica, alla musica “strumentale” intesa come l’insieme dei suoni prodotti da strumenti suonati dall’uomo, e riconducibili a quelle creature femminili della mitologia greca capaci di sovrintendere alla formazione ed al corretto svolgimento di esse. Così, nel mondo greco di età classica, nel V secolo a.C., l’uomo colto era definito “mousikòs anèr” proprio in virtù del fatto che, grazie alla sua formazione culturale, poteva intendersi di canto, danza, poesia e degli altri tipi di spettacolo da correlarsi alla musica e di cui la musica era parte intrinseca, integrante e inalienabile.

Stefano “Cocco” Cantini - E’ oggi accertato, tramite studi di carattere medico-scientifico, che la musica rappresenta lo “strumento” artistico fondamentale in quanto capace di modificare, nell’individuo, la corteccia cerebrale, che, nel suo aspetto nuovo, riplasmato, viene ad assumere una fisionomia tale da essere immediatamente riconoscibile come appartenente a un musicista o comunque a qualcuno che ha interagito con un ambiente musicale sin dal suo primo esistere.

Rafanelli - Ma … facciamo un passo indietro. Dall’attualità torniamo al passato ed in particolare proviamo ad avvicinarci agli Etruschi e ad un mondo che potremmo non a torto definire il più “musicale” dell’antichità e che per assurdo è rimasto per noi completamente “muto” a causa dell’assenza di fonti documentali scritte che ci offrano una testimonianza “diretta” di questa civiltà che ancora tanti studiosi e moderni cultori della materia amano presentare avvolta entro uno spesso manto di mistero.

Per il mondo greco e per quello romano-italico ci soccorre l’esistenza documentata di numerose branche del sapere: la letteratura, la filosofia, la storia, la poesia ci aiutano a penetrare i molteplici aspetti che formano l’essenza e l’identità culturale dei diversi popoli, ma, sfortunatamente, questo non sembra accadere per il mondo etrusco, la cui documentazione letteraria, poetica, scientifica, e più in generale l’intera produzione scrittoria, pervenuta ad oggi in minima parte, risulta ancora largamente sconosciuta e oscura.

Quello che resta di questa straordinaria civiltà è affidato quasi esclusivamente alle immagini, alle fonti iconografiche, fra le quali un repertorio di straordinario rilievo è costituito dal complesso degli affreschi parietali che adornavano le camere funerarie delle tombe di Tarquinia, una delle principali città dell’Etruria Meridionale costiera, cui rimanda l’uso di decorare l’interno degli ambienti funerari con scene figurate dipinte con vivaci colori (rosso, nero, giallo, rosa, azzurro).

Una tradizione pittorica che accomuna un esiguo numero di città etrusche a partire dal periodo orientalizzante (VII sec. a.C.) fino all’età ellenistica (IV-III sec. a.C.) e che, oltre a Tarquinia, sembra riguardare in piccola misura anche Cerveteri (tombe dei Leoni Dipinti, degli Animali Dipinti, ecc..), Veio (tomba delle Anatre), Vulci (tomba François), e sporadicamente Orvieto (tombe Golini I e II) e Magliano in Toscana (Tomba dei Leoni Alati). E, ad attivarla, sono forse quei medesimi artisti che, giunti dalla Grecia dell’Est, sulle coste dell’Asia Minore, a Gravisca, il principale porto di Tarquinia, e stanziatisi nell’importante città-stato ad esercitare la loro arte impiantando piccoli “ateliers” nel centro urbano o nel territorio limitrofo, si trasferiscono successivamente presso altre sedi, aprendo botteghe succursali a Chiusi (cf. le tombe del Colle, della Scimmia, ecc…) e divulgando anche nei centri dell’Etruria interna questo forma peculiare di arte funeraria.

E sono proprio le splendide figure di danzatori, ballerine, musici, dai colori vivaci, che sfilano lungo le pareti di monumenti di eccezione, rappresentati fra gli altri dalle tombe tarquiniesi dei Leopardi e del Triclinio (480/470 a C.), accanto a quelle immortalate sulle superfici in pietra delle urne cinerarie e dei cippi sepolcrali chiusini, a catturare l’attenzione dello spettatore e dello studioso ed a parlarci oggi della parte che poteva rivestire la musica nel mondo etrusco, e massimamente nella “paidèia”, ossia nell’educazione formativa dell’individuo, ponendola in parallelo con quanto conosciamo per la Grecia, ove fonti filosofiche autorevoli del calibro di Platone e di Aristotele ci informano che alla “mousikè tèchne” era riservato uno spazio ampio ed autorevole.

Quello che emerge con incontrovertibile chiarezza dalla lettura delle immagini, ove musici e danzatori ricorrono con frequenza nelle scene di banchetto, giochi, caccia, agoni sportivi, ludi funebri, riti e cerimonie religiose, è il ruolo di assoluto primo piano che la musica – e le performance di spettacolo ad essa connesse - dovevano giocare, nel mondo etrusco, in tutte le manifestazioni della vita e della morte, come si evince dalle stesse rappresentazioni di vita ultraterrena ambientate in un Aldilà disegnato alternatamente, nelle diverse epoche, con contorni dalle sfumature idilliche o funeste.

 

 

[1] Deipnosophistai, IV, 154 a; IV, 153 f).

[2] E' sempre Ateneo che ci informa: Deipnosophistai IV, 184.

[3] F. Jurgeit, “Scomparse le note, persi i suoni ed i canti. La musica etrusca è solo in parte ricostruibile tramite gli strumenti musicali ma … con occhi attentii”, in La musica in Etruria, Atti del Convegno Internazionale, Tarquinia 18/20 settembre 2009, a c. di M. Carrese, E. Li Castro, M. Martinelli, Tarquinia 2010.

 

 

 

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