DIARIO BRASILIANO
DANIELE LAURIA
25 ott 2014
DIARIO BRASILIANO

architetto e urbanista, già direttore artistico del Festival della Creatività di Firenze, lavora in Italia e, da alcuni anni, in Brasile, Colombia, Cile ed Ecuador.

 

Si spegne la tv e i miei amici brasiliani tirano un sospiro di sollievo: la coppa non passerà la frontiera con l’Argentina! Soprattutto è finita, anche se si allungano già le ombre di un campionato del mondo che qui passerà alla storia, per le sconfitte umilianti della ‘Seleção’ e per aver perso un’ottima occasione per ridurre gap infrastrutturali e deficit di modernizzazione.

I Mondiali, così come le Olimpiadi del 2016, erano stati voluti una decina di anni fa dall’allora presidente Lula come l’occasione per comunicare al mondo la rinascita del Brasile e il suo rinnovato ruolo geo-politico. Erano gli anni in cui Lula, grazie ad una crescita economica seconda solo a quella cinese, iniziava a dare corpo al suo primario obbiettivo, quello di accompagnare milioni di brasiliani fuori dalla povertà arrivando all’inedita definizione di un ceto medio laddove convivevano, da sempre, ricchezze e povertà assolute.

 

Così dal 2002 al 2010 si affermò il ‘mito del Lula’ capace di influenzare molti Paesi latino-americani verso modelli economici solidali e portandoli a rivedere il tradizionale ruolo di sudditanza nei confronti degli Stati Uniti che si videro espropriare il ‘giardino di casa’[1]. In quegli anni il PIL del Brasile cresceva a ritmi vertiginosi[2] con milioni di persone che chiedevano abitazioni, trasporto, servizi. Una rivoluzione supportata da bassa inflazione e da un apprezzamento notevole della moneta nazionale. Una trasformazione che, per altro, non fu compresa dall’Italia, perdendo l’occasione di aprirsi strade di interscambio commerciale là dove ci si limitava a sparuti interventi di cooperazione.

 

In quegli anni l’economia brasiliana correva e per il nuovo ceto medio arrivarono le case, con uno dei più macroscopici fenomeni mondiali di verticalizzazione delle città, e i mezzi di trasporto anche se non quelli pubblici: Lula rese possibile per molti il sogno di possedere un'automobile grazie a consistenti incentivi di cui beneficiò non poco anche la FIAT brasiliana. Il sogno dei singoli si trasformò però nell'incubo collettivo di un traffico senza rimedio: solo a San Paolo si immatricolavano oltre mille auto ogni giorno!

In ogni caso, forte di un gradimento vicino all'80%, Lula lasciava all’attuale presidente, Dilma Rousseff, una strada apparentemente in discesa e con bella vista sui traguardi della Coppa e delle Olimpiadi di Rio. Il passaggio di testimone fu però complicato dalle scorie di uno scandalo già emerso qualche anno prima, quello del ‘mensalão’[3] cioè di un patto segreto tra i partiti di governo grazie al quale venivano moltiplicati a dismisura gli stipendi dei parlamentari e, pare, finanziate le loro campagne elettorali. Con Dilma Presidente emersero nuovi dettagli ma soprattutto il popolo iniziò a capire di non essere stato l’unico beneficiario del repente sviluppo.

 

Così gli ultimi due anni sono stati una 'via crucis' mediatica per la Rousseff: non passa giorno che i Tg brasiliani non narrino di episodi di corruzione e sperpero di risorse pubbliche. Giganteggia il caso delle indagini, tuttora in corso, sulla gestione della Petrobras, l’impresa petrolifera statale, una delle più grandi al mondo, che hanno portato a scoprire che il patrimonio dell’azienda si sia quasi dimezzato a causa di un giro infernale di false fatturazioni, truffe e attività inesistenti per miliardi di dollari. Una storia facilmente comprensibile dall'Italia a meno di dimenticare in che modo si sia formato uno dei più grandi debiti pubblici del mondo.

Due anni di passione per Dilma. Un biennio segnato dalle immagini parallele delle proteste di piazza di chi domanda più servizi e quelle degli stadi del Mondiale in costruzione ad andamento lento. Siamo al luglio dell’anno scorso e i due film si sovrappongono sulla stessa pellicola dando vita ad una delle più grandi manifestazioni di rivolta della storia brasiliana. L’innesco, come spesso avviene, pare banale: il sindaco di San Paolo autorizza l’aumento del biglietto di bus e metro da 3 a 3,20 reais[4]. Ne segue una vera a propria battaglia nel centro storico della città con il Palazzo municipale assediato e autobus dati alle fiamme. La protesta dilaga nelle altre città coinvolgendo milioni di persone. Assisto personalmente, in quei giorni, sia alle gigantesche (e pacifiche) sfilate di protesta sull’Avenida Paulista[5] sia all’attacco (meno pacifico) alla residenza del governatore di Rio de Janeiro nel ricco quartiere di Leblon. Tempo qualche giorno e gli aumenti del biglietto di trasporto, a San Paolo come altrove, vengono cancellati ma la ferita rimane aperta come testimoniato dagli ululati che hanno accompagnato le comparse della Presidente durante le partite del Campionato del Mondo.

 

Oggi, persa la Coppa, rimangono le polemiche di quasi 13 miliardi di dollari spesi per opere e stadi che in qualche caso nessuno userà più (come in Amazzonia, a Manaus) e senza tutti gli interventi infrastrutturali che il Paese attendeva. Certo è difficile per noi scandalizzarci: dai Mondiali del ’90 alla prossima Expo milanese passando per i Mondiali di nuoto del 2009 abbiamo dato ampia dimostrazione di una singolare attitudine a 'trarre profitto' dai grandi eventi. Qui però rimane ancora da giocare la carta delle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016 ed in questo caso si registrano note positive che spero siano contagiose per l'intero Brasile, un Paese che merita un futuro migliore in parte affidato all'esito delle elezioni presidenziali di ottobre. Che vinca ancora Dilma Rousseff o che siano altri a succederle, la speranza è che la creatività, l’inventiva e la passione dei brasiliani trovino un governo all'altezza. D'altra parte è nota la capacità del Brasile di riscattarsi nei momenti più difficili; è accaduto altre volte nella sua storia recente ed è singolare che spesso la rinascita sia stata innescata dalla cultura popolare, quella dei cantautori di 'bossa nova', degli scrittori e anche dei grandi architetti come Oscar Niemeyer. La cultura come traino: non sarebbe un cattivo né difficile esempio per l'Italia!

 

In ogni caso il Brasile rimane il Paese del futuro. E' quello che percepisco in ogni mio viaggio oltre oceano, consapevole di lasciare alle spalle un passato, il nostro, che non riusciamo nemmeno più a rivendere come si deve ma che ci lega muscoli e neuroni costringendoci a 'liti' quotidiane spesso incomprensibili. Così, l’arrivo a San Paolo o a Rio de Janeiro restituisce la stessa sensazione che si ha nell’aprire le finestre ad una stanza chiusa per troppo tempo. Le città brasiliane sono pervase di energia e tutto cambia, nel bene e nel male, con una velocità che riesce difficile comprendere appieno.

 

Nello stesso tempo in cui in Italia una pratica per aprire o chiudere una finestra passa da una scrivania all’altra, là si costruiscono quartieri interi. Certo questa rapidità delle trasformazioni, talvolta frutto di impellenti necessità, porta con sé molti problemi nel governo delle città e, dunque, non è un bene in assoluto ma sicuramente è un male pensare che un eccesso di pianificazione (e regolamentazione) garantisca migliori risultati; dal 1942 ad oggi in Italia sono state emanate migliaia di leggi e norme per regolare l’edilizia e l’urbanistica e, al contempo, il territorio è stato devastato e si sono prodotti i peggiori disastri della nostra storia dell’architettura. In Brasile l’approccio è diverso: l’urbanistica si fa per strada ancora prima che nei palazzi comunali, la partecipazione popolare qui è nata prima delle norme che la incentivano, e si è costruita Brasilia e si è fatta di Curitiba la città più 'verde' del mondo ancora prima di istituire una legge che obblighi le città a dotarsi di piani regolatori[6]. Naturalmente ciò non toglie che gran parte delle città brasiliane, soprattutto nel Nord-Est, abbiano visto una crescita esponenziale e disordinata cui si dovrà porre rimedio, ma la capacità di cambiare rapidamente può anche consentire di affrontare con decisione i problemi.

Quindi, spenti i riflettori della Coppa e archiviata l'onta del 7-1 rimediato dalla Germania, i brasiliani potranno trovare la giusta strada per far crescere il loro Paese, questa volta in maniera più matura e consapevole.

 

 

 

[1] così gli USA definivano l’America centrale e meridionale secondo la 'dottrina Monroe' cui non fece difetto Kennedy e che Nixon più di altri interpretò senza particolari scrupoli

[2] attualmente è il 7° Paese al mondo per valore assoluto; l'Italia è al 9° posto

[3] alla lettera: 'grande (stipendio) mensile'

[4] l'aumento corrisponde a circa 7 centesimi di euro

[5] è il grande viale urbano di San Paolo dove hanno sede le più grandi aziende brasiliane ed internazionali

[6] La legge urbanistica che istituisce il 'Plano Diretor de Desenvolvimento Urbano' è del 2000

 

 
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