IL CASO DELLA CRIMEA, ALCUNE OSSERVAZIONI
Andrea Giannotti
01 apr 2014
IL CASO DELLA CRIMEA, ALCUNE OSSERVAZIONI

L’ingresso della Crimea nella Federazione Russa rappresenta indubbiamente l’evento più rilevante della vicenda politica russa dal crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Una manifestazione di orgoglio nazionale e di determinazione politica che ha sollevato forti polemiche presso le cancellerie e i sistemi d’informazione occidentali. Nella dinamica delle relazioni internazionali non è certo insolito che la dimostrazione di potenza di un attore susciti apprensione e biasimo negli altri, al punto da spingerli a reazioni molto dure sul piano diplomatico e, potenzialmente, su quello politico-economico se non addirittura militare. Ciò non giustifica, però, la superficialità con cui la maggioranza dei media occidentali ha presentato la vicenda della Crimea, offrendo all’opinione pubblica un’interpretazione che, al di là di ogni lettura “politica”, sottende superficialità e colpevole ignoranza dei fatti.

È opportuno tentare di fare chiarezza su alcuni punti:

• Si è molto discusso sulla legittimità del referendum del 16 marzo 2014 e sul fatto che esso rappresenterebbe un pericoloso precedente per il diritto internazionale. Senza citare la tanto celebrata autodeterminazione dei popoli, l’affluenza superiore all’80% e il 96% dei voti favorevoli all’adesione, va detto che la secessione della penisola non pare molto difforme da quella realizzata dal Kosovo nel 2008. Nel primo caso si è gridato all’illegittimità e alla necessità di tutelare il diritto delle minoranze, soprattutto quella tartara, mentre le nel secondo caso nessuna obiezione e pronto riconoscimento dell’indipendenza senza alcuna seria considerazione per le proteste della minoranza (serba). L’uso di due pesi e due misure è evidente. Eppure il diritto internazionale è chiaro sul punto: secondo principi ribaditi per le isole Aland (abitate da svedesi, ma sotto sovranità finlandese) e per il Quebec (regione di lingua e tradizioni francesi nel Canada anglofono e culturalmente anglosassone), la secessione è illegittima laddove le autorità s’impegnino a garantire il rispetto e la libertà delle minoranze. Non occorre essere grandi conoscitori della regione per riconoscere che le politiche condotte dal governo di Kiev contro la popolazione di tradizione o etnia russa e quelle di Tbilisi verso l’Ossezia del sud e l’Abkhazia come gravi e sistematiche violazioni sufficienti a legittimare richieste di secessione.

Propaganda a parte, a chi gioverebbe l’associazione (ragionevolmente, preludio all’integrazione) dell’Ucraina nell’Unione Europea? Sicuramente non all’economia ucraina, la cui produzione industriale è rivolta per circa l’80% al mercato russo e la cui riconversione qualitativa e produttiva per adattarsi agli standard e alle richieste europee avrebbe costi pesantissimi per un periodo piuttosto lungo. Al contempo, ai popoli dell’Ue conviene farsi carico di un paese così indebitato e con deficit strutturali di tale portata? Sicuramente l’integrazione con l’Ue avrebbe effettivi positivi in termini di certezza del diritto, trasparenza dei procedimenti amministrativi, miglioramento degli standard di produzione, ma a quali costi? Per dare un’idea, il contestato allargamento del 2007 coinvolse Bulgaria (circa 7,5 milioni di abitanti) e Romania (circa 21 milioni), mentre l’Ucraina ne conta oltre 45 milioni. I traballanti bilanci comunitari sono in grado di affrontare una simile sfida?

Diversi commentatori occidentali hanno accusato la Russia di ricattare il governo di Kiev ponendolo dinanzi alla scelta fra integrazione comunitaria e integrazione euroasiatica (con alcune altre repubbliche ex-sovietiche). A tal proposito va ricordato che Russia e Ucraina hanno in comune una lunghissima frontiera che in molti tratti è puramente nominale, con libero transito di lavoratori e merci (per lo più dall’Ucraina verso la Russia). È abbastanza normale che la Russia non possa ammettere l’incontrollato ingresso di prodotti europei (sottoposti a dazi) attraverso un’Ucraina contemporaneamente associata all’Ue e fruitore delle condizioni agevolate in vigore fra i paesi della CSI. Più che un violento ricatto l’avvertimento della Russia pare una logica misura di tutela della propria economia. Stessa storia per la varie forniture, energetiche in primis, che l’Ucraina riceve a prezzo di favore da Mosca: in una famiglia si condivide, ma se la famiglia cambia, la condivisione non può rimanere immutata.

Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che nel processo che avrebbe dovuto condurre all’associazione dell’Ucraina con l’Ue, Bruxelles abbia sbagliato ad escludere decisamente il Cremlino. A questo punto non sono mancati quanto hanno osservato che l’Ucraina è uno Stato sovrano e in quanto tale ha piena facoltà di negoziare con altri soggetti e che il coinvolgimento di un terzo attore sarebbe un unicum nel panorama del diritto internazionale. È senza dubbio un’osservazione giusta, tuttavia non va dimenticato che la stessa disgregazione dell’Urss è stata un unicum se raffrontata con la fine degli altri imperi, un unicum che ha visto la permanenza di milioni di russi nelle varie repubbliche (solo in Ucraina sono quasi 8,5 milioni) e il mantenimento di forti legami culturali, economici e politici. A ben vedere, oltre a comprensibili ragioni strategiche, altri fattori rendono Mosca fortemente coinvolta nelle sorti dello spazio post-sovietico e pretendere di escluderla non può determinare conseguenze imprevedibili. La Russia è sempre stata ferma su questo punto, anche nei momenti di maggiore debolezza negli anni ’90, e tanto più oggi, tornata protagonista sulla scena mondiale, non intende lasciare spazio per autonome iniziative di altre potenze nell’area.

Quanto alla Crimea, il ritorno alla Russia era nell’ordine delle cose, soprattutto alla luce dell’importanza che la base di Sebastopoli riveste per le operazioni russe nel Mediterraneo orientale, crisi siriana in primis. La vera questione riguarda il futuro della nazione ucraina laddove le regioni filorusse decidessero di seguire l’esempio della penisola e indire referendum per riunificarsi con Mosca. A questo punto una divisione non sarebbe un’ipotesi impensabile: l’est ricongiunto alla Russa e l’ovest (di tradizione galiziana e polcca), russificato con violenza dopo la Seconda Guerra Mondiale, suscettibile di piena integrazione con l’Unione Europea. Un’alternativa potrebbe essere la trasformazione dell’Ucraina in senso federale, come proposto dal ministro degli esteri russo Lavrov durante l’incontro del 30 marzo col Segretario di Stato americano Kerry, accordando una certa autonomia alle singole regioni sì da garantire la tutela delle cospicue comunità russe dei distretti sud-orientali.

Qualunque sarà la soluzione, per la Russia l’affaire ucraino è già una duplice vittoria. In primo luogo Putin ha raccolto i frutti di una politica assertiva e determinata, raffermando la centralità di Mosca sul Mar Nero e, in prospettiva, verso il Mediterraneo. Secondariamente, il Cremlino ha guadagnato punti sull’Occidente, ancora una volta incerto e diviso, agli occhi di molti paesi, a cominciare dall’Egitto, in cerca di un partner forte e affidabile. Gli Stati Uniti di Barack Obama si sono mostrati deboli e contradditori e quanto all’Europa, nell’attuale situazione difficilmente può continuare a proporsi come modello d’integrazione regionale vincente. I segnali che arriveranno nel medio periodo ci permetteranno di valutare se la Russia sarà capace di consolidare i buoni risultati dell’ultimo anno, dalla Siria alla Crimea e se l’Occidente saprà ritrovare lo slancio e il vigore che dalla sventurata aggressione alla Libia sembra aver perduto.

 

 

Articoli correlati