L'ENERGIA DELLA FINANZA
LUCA LANZALONE
28 gen 2014
L'ENERGIA DELLA FINANZA

Il forte incremento dei prezzi delle principali commodities agricole degli anni 2007-2008 e la loro successiva drastica contrazione ha indotto diversi commentatori a chiedersi se non si fosse modificato negli ultimi anni il “modello” di formazione dei prezzi delle commodities agricole. Le principali attenzioni degli osservatori si sono concentrate sia sul possibile ruolo svolto dalla riduzione nel periodo pre-crisi delle scorte di materie prime agricole su livelli mai registrati in precedenza (soprattutto per le più importanti commodities agricole: grano, mais, riso e soia), sia sulla speculazione finanziaria che, dopo le bolle azionarie e dei prezzi delle case, si sarebbe rivolta al mercato delle commodities agricole.

A parità di condizioni, un minor livello di scorte di prodotto in presenza di domanda crescente, e tenendo conto dei tempi di produzione, può generare un consistente incremento dei prezzi quale classico meccanismo di razionamento della domanda.

Questi ultimi fattori costituiscono una delle cause strutturali fisiologiche dell’incremento dei prezzi agricoli, incremento che sarebbe trainato sia dalla maggiore rigidità dell’offerta, sia dalle importanti modifiche della dieta nei Paesi emergenti, in particolare in Cina e India, che ha generato un consistente aumento della domanda di prodotti cerealicoli per l’alimentazione del bestiame al fine di soddisfare la maggiore domanda di carni. Importanti organizzazioni internazionali hanno, d’altra parte, sottolineato il possibile ruolo svolto dalla speculazione finanziaria nel condizionare la dinamica dei prezzi di alcune commodities agricole, sollecitando l’analisi di queste problematiche soprattutto per il ruolo che la speculazione finanziaria può svolgere nel condizionare la sicurezza alimentare in diversi Paesi in via di sviluppo.
Infatti, non è difficile immaginare che in una situazione di forte deficit nelle scorte di materie prime agricole e una domanda crescente, oltre a problemi congiunturali di produzione legati soprattutto ad eventi meteorologici, la speculazione finanziaria possa puntare l’attenzione su tali mercati proprio in prospettiva di un aumento delle quotazioni e, quindi, dei rendimenti sugli investimenti in commodity assets.

Dato che l’investimento in una commodities può essere trattato, almeno teoricamente, come l’investimento di un qualsiasi asset, possiamo utilizzare alcuni recenti strumenti di analisi per scoprire se alcuni mercati siano stati caratterizzati da bolle “razionali” negli anni più recenti.
Una bolla razionale può essere definita, in termini molto generali, come un comportamento dei prezzi che non rispetta i valori fondamentali. In particolare, il valore dell’asset aumenta più sulla base di scommesse su futuri incrementi dei prezzi che su effettive analisi basati sui valori fondamentali.
I risultati dell’analisi inducono tuttavia a concludere che, a prescindere da altre possibile cause, la dinamica di alcune commodities – grano e riso in particolare – sia maggiormente compatibile con la presenza di bolle speculative.

A partire dalla metà del 2010 si assiste, infatti, ad una periodica ondata di rialzi dei prezzi delle commodity agricole sui mercati internazionali determinate non solo dalle condizioni climatiche globali sempre più sfavorevoli, ma anche da una sempre maggiore presenza di fattori finanziari nel settore agricolo, che interessano non solo la produzione, ma anche, e soprattutto, i soggetti produttori.
Innanzi tutto, si è assistito, negli ultimi anni – complice anche, ma non solo, una deviazione dei flussi finanziari dai settori tradizionali (edilizia, industria, prodotti tecnologici), interessati dalla crisi economica mondiale – ad un incremento esponenziale della speculazione sui mercati dei derivati agricoli, che ha esercitato, come è tipico di tali strumenti finanziari, un incremento del prezzo dei prodotti agricoli a causa della finalità altamente speculativa degli stessi.

In secondo luogo, si è affermata l’idea di contribuire a risolvere i problemi del potenziale deficit petrolifero ed energetico e dei livelli di emissioni di gas ad effetto serra sostituendo i combustibili fossili con biocarburanti, ovvero combustibili ricavati da prodotti agricoli.
La produzione dei biocaburanti è sostenuta da miliardi di euro all’anno di soldi pubblici, anche nell’Unione Europea.
Se consideriamo che, secondo stime della Fao, con il costo del petrolio attorno ai 100 dollari al barile, i produttori di etanolo sono in grado di rimanere competitivi sul mercato pagando il mais 320 euro/tonnellata metrica grazie ai sussidi, è evidente che la domanda di biocarburanti ha un impatto sempre più consistente sui livelli dei prezzi degli alimenti, in quanto sottrarrà sempre più produzione dalla destinazione alimentare per convogliarla verso il mercato della produzione energetica.
Questi due fattori, la speculazione e la domanda per biocaburanti, creano una correlazione sempre più stretta tra i mercati finanziari, quelli energetici e quelli alimentari, aumentando enormemente la volatilità dei prezzi in questi ultimi.

I primi due – il mercato finanziario e quello energetico – sono soggetti ad enormi forze speculative che, anche a causa della crisi industriale iniziata nel 2010, che ha seguito, ed è stata in parte determinata dalla crisi finanziaria iniziata nel 2008, hanno cominciato ad investire nell'alimentare.
Oggi, la maggior parte delle commodity commerciate a livello globale, sia direttamente, che indirettamente, sono sostanzialmente di proprietà di investitori finanziari attraverso specifici strumenti utilizzati per effettuare operazione esclusivamente finanziarie, sovente ad alto rischio, ma anche ad elevata redditività.

Si pensi, ad esempio, ai futures sui generi alimentari, originariamente creati in funzione di assicurare i diversi operatori (agricoltori da un lato, mangimisti, molini, industrie dall’altro) rispetto ai rischi di sbalzi dei listini al di sopra o al di sotto di determinate soglie, e trasformatisi nel tempo in strumenti finanziari ad elevato grado di speculazione, tali da generare una gravitazione di capitali, su una singola unità di prodotto (ad esempio, una tonnellata di grano) pari anche a 80 volte il prezzo base (nel senso che la medesima quantità di merce viene comprata e rivenduta, dal momento della raccolta, sino alla consegna all’industria alimentare, sino a 80 volte, in modo assolutamente virtuale, attraverso lo scambio di titoli la cui relazione sottostante é appunto la vendita di quell’unità di prodotto.

I primi segnali di questa nuova tendenza dei mercati finanziari giungono proprio dalla componente più sofisticata degli investitori finanziari: gli hedge fund. A Wall Street da qualche tempo questi fondi hanno cominciato a vendere azioni o posizioni detenute nell'oro per investire in terreni ed aziende agricole: il fondo di George Soros ha comprato titoli della Adecoagro, un gruppo che possiede terre coltivabili in Argentina, Brasile e Uruguay; Larry Fink, gestore del fondo BlackRock, il maggior gestore mondiale di patrimoni con 3,5 miliardi di dollari in gestione, ha definito le nuove strategie di investimento del fondo in modo molto esplicativo «Investite sull'agricoltura e sull'acqua e poi andatevene in spiaggia».
I numeri, per altro, per il momento danno ragione agli hedge funds. L'indice delle aree coltivabili americano ha raggiunto il suo massimo storico da 32 anni a questa parte ed è cresciuto del 16% dall'inizio del 2010, come certificato dalla Federal Reserve di Chicago; tuttavia, questo incremento è stato destinato solo in minima parte alla produzione agricola per fini alimentari.

Gli investitori cercano grandi distese di terre coltivabili non soltanto in America ma un po' ovunque nel mondo. Russia, Sudafrica, Ucraina e vari territori africani sono nel mirino dei fondi oltre a quelli più tradizionali nordamericani. Un interesse spiegabile anche con l'andamento rialzista delle materie prime agricole i cui prezzi sono stati spinti ai nuovi massimi storici dalla domanda dei paesi emergenti del pianeta. Cina e India in primis, dove la crescita economica prosegue robusta.
La crescita del prezzo di borsa delle derrate agricole aumenta il valore di mercato dei terreni dove le stesse sono o possono essere coltivate, poiché accresce il rendimento annuo netto garantito dagli stessi terreni.
E così, sollecitati da questo movimento rialzista e dalle aspettative inflazionistiche gli hedge funds hanno deciso di entrare in forza da investitori nel settore delle fattorie e delle aziende agricole e, a cascata, nel settore della produzione di energie da fonti agricole.

Per il momento acquistano azioni di imprese che possiedono grandi estensioni di terre coltivabili ma, se la tendenza ad investire in questo comparto proseguirà, è probabile che gli stessi fondi comincino a prendere in considerazione aziende che detengono terreni meno estesi e localizzati in paesi o regioni più storiche e tradizionali del vecchio mondo europeo, dove vengono coltivati prodotti agricoli talvolta di nicchia ma che possono beneficiare dello stesso potenziale rialzista delle derrate alimentari più tradizionali.
Del resto, l'investimento in terreni agricoli gode di un vantaggio in più rispetto a tutti gli altri esposti al possibile rischio bolla: se la domanda mondiale di prodotti della terra continuerà a crescere i campi sono l'unico asset che non si può fabbricare o accrescere a tavolino. Può essere, ovviamente, aumentata la produttività dei terreni ma mai la quantità di terreno effettivamente coltivabile sul pianeta che resta una variabile fissa e data per tutti.

Il c.d. “land grabbing”, per altro, è considerato, soprattutto dai Paesi a bassa industrializzazione e mediocre sfruttamento dei terreni coltivabili – quali, in particolare, i Paesi del Sud del Mediterraneo, le cui condizioni idrogeologiche determinano la necessitò di rilevanti investimenti per rendere sfruttabili, da punto di vista agricolo, le aree non urbanizzate – un’opportunità di sviluppo, in quanto prospetta ricadute economiche immediate, quali la creazione di nuovi posti di lavoro e l’introduzione di strumenti tecnologici, che inducono ad “ignorare” l’impatto ambientale ed i rischi connessi con la necessitò di autosufficienza alimentare che ogni Stato dovrebbe garantire ai propri cittadini.
Negli ultimi dieci anni il sempre maggiore interesse degli operatori finanziari sui terreni agricoli ha innescato un pericoloso sistema di scommesse sull’andamento dei listini delle derrate agricole di base. Questa crescita esponenziale del mercato finanziario non corrisponde però alla realtà degli scambi il cui incremento é per lo più lineare essendo collegato all’andamento demografico e dei consumi nei Paesi emergenti.

Servono quindi nuove regole e nuove politiche pubbliche per limitare la speculazione finanziaria sui mercati dei derivati agricoli, così come regole che non incentivino una produzione insostenibile di biocarburanti e di energie da fonti agricole ed è altresì necessario ritornare a strategie di sviluppo e sicurezza alimentare che sostengano prioritariamente l’alimentazione, prima della finanza (che non è, di per sé, negativa, ma che può produrre, e sta già producendo, effetti gravemente discorsivi della produzione agricola e del naturale andamento dei prezzi dei prodotti alimentari).
Non è un problema di soluzioni ma di volontà politica di adottarle. Non basta dire che servono più investimenti, più commercio, più sostegno all’agricoltura. Bisogna che essi siano declinati nella direzione del sostegno a un diverso modello di sviluppo agricolo, altrimenti la soluzione diverrà parte del problema, aggravandolo.
L’Italia, da questo punto di vista, come osservato anche dall’Unesco, gode di un un'eccellenza naturale che nessuna agenzia di rating può contestare e che può essere indicata con una tripla A: agricoltura, alimentazione, ambiente. Se tali settori – che sono tra loro strettamente connessi, per le ragioni sopra evidenziate – saranno correttamente e concretamente sviluppati, anche con l’aiuto e l’intervento della finanza, ma senza abdicare alle logiche della finanza, caratterizzate dalla speculazione immediata e dalla massimizzazione del profitto, anche a discapito del perdurare dell’investimento, si potrà garantire all’Italia una fonte di ripresa economica significativa e durevole.