VIAGGIO A BERLINO
Fabio Focardi
25 mag 2014
VIAGGIO A BERLINO

Scelta turistica a livello di sensazione di prima impressione, niente preconcetti ma raccolta di suggestioni. Via anche il rapporto melanconico costruito nel passato: il fascino della nevicata notturna del primo arrivo negli anni Settanta, l’entusiasmo del congresso di Tun Nichts degli anni Ottanta, privilegiando piuttosto l’impressione in continuum con la permanenza del 2001. E ancora, nessuna ricerca di modelli da copiare, di appartamenti in vendita da acquistare, né la pretesa di una conoscenza profonda e di riflessioni pontificanti.

Da Monaco a Berlino

Arrivare in un giorno festivo alla stazione  centrale di Monaco è sbalorditivo. Stupiscono i normali desperados ma anche una marea di orientali che scorrazzano fino alla città vecchia: Monaco sembra una città orientale. Palandrane nere sfilano veloci e schive mentre figure  maschili e panciute siedono ai tavolini davanti ai narghilè. Mix di lingue incomprensibili. Dappertutto, tranne che nella città vecchia che è off limits per gli immigrati. Dove sono loro, i tedeschi? Finalmente la sera nel ristorante vegano ultra chic appaiono, giovani bavaresi di livello e con abiti firmati: nel locale si parla solo tedesco, inglese e un po’ di giapponese. Frequentatori della stazione e giovani rampanti: persone che non si incrociano se non nel contesto del quotidiano lavorativo dove di lingue se ne parla una sola.

A Berlino con un’ora di ritardo! E dal 2006 il treno non arriva più a Zoo - ormai banale stazione di S-Bahn – in cui non c’è altro che movimento  veloce di corpi e nemmeno più l’ombra dei ragazzi di Berlino. Appesantiti dai bagagli e un po’ storditi dal lungo viaggio, ci si ferma per riorientarsi, ma si è fagocitati dalla dinamica di infiniti corpi: il movimento è il tutto e il fine?  Non è stata proprio la SPD a iniziare questa riflessione? E dove sono i VoPos di Friedrichstrasse DDR di quando si arrivava negli anni ’80? Flash di un arrivo di notte accolto da Kalaschnikov e lupi neri al guinzaglio. Non sento più il fronte e nemmeno la paura e l’angoscia che ti schiacciavano immediatamente. Oggi la sensazione del primo impatto è la normalità, la fretta, la quotidianità vanamente caotica di ogni grande città. Dove è il fronte ora? Cercheremo di capirlo.

A Brandeburgo. L’ inizio  è sempre da qui, dal cuore antico e simbolico della città, tappa obbligata di una consuetudine troppo storica. Manca qualcosa dall’immagine mentale registrata nel 2001.

Dove è la fila di visitatori del restaurato Reichstag? Quella processione che aveva turbato Stefano e me non c’è più: allora i tedeschi ritrovavano il centro della loro Heimat e volevano sentirla anche fisicamente, nonostante le ore di attesa.

Guardare per terra è una sorpresa: qualcuno devia e si discosta dal rigido dovere del cittadino perfetto.Tutt’intorno, una distesa di cicche e filtri di sigarette testimoniano forse un affievolirsi del sentimento di patria? Sicuramente il “butto per terra” non è comportamento che discenda da Heimat. Letizia continua imperterrita a cercare i posacenere per sua coerenza, io mi adeguo subito al clima e incremento le trame del tappeto giallo con una certa soddisfazione.

A Brandeburgo solo rimasugli di vecchia politica: fieri nel farsi fotografare sparuti gruppi o singoli protestano contro la signora Merkel e la sua politica aggressiva e imperialista.

L'ordine regna a Berlino? Nel nulla della normalità, tra l'indifferenza e frotte di turisti immotivati: se fossimo a Firenze o a Roma sarebbe normale, a Berlino non capisco cosa ci sia da sciamare. Trappola marketing per giapponesi e vecchi reduci americani o loro nipoti che a Checkpoint Charlie si fanno fotografare davanti ad una finta garitta con i colleghi dei centurioni romani, qui vestiti da MP americani che espongono doverosamente il prezzo di una foto con loro (3 euro)?

A Giro

Un saluto agli amici, ancora al cimitero delle Dorotee. Come sempre non c'é nessuno, siamo fuori rotta. Non è turismo normale il nostro, è un’altra nostalgia, ma l’avevamo promesso a Fichte, a Hegel e soprattutto a Brecht: saremmo tornati a trovarli. Sulla tomba di Brecht non si posano più sassi, è stata ricoperta da un’erba strana, piccolo cambiamento che disturba la continuità della consuetudine. Io insisto, raccolgo una piccola pietra e la metto sull’erba che copre la tomba.

La città ha divorato sé stessa e la sua storia e forse non poteva fare altrimenti per sopravvivere, sembra che dal ’98 cerchi di diventare moderna, anzi attuale, proiettata fuori del contesto geografico verso una meta storica.

Nel  Mitte si  sono inglobate le fabbriche del primo Novecento, qualcuna sembra ancora intatta o restaurata dopo i bombardamenti con i connessi quartieri operai, dedalo di una promiscuità pericolosa. Le strutture di mattoni rossi sono oggi atelier commerciali per turisti.

Anche il ‘68 ha lasciato un segno strano: per ironia della storia il potere della DDR ha intitolato una grande strada a Rudi Dutschke, ma nessuno se ne accorge.

Ed è così anche per il ponte Liebknecht. Guardare la Sprea fa venire i brividi pensando a Rosa: qualcuno sa di lei? Comunque anche a lei l’onore di una via, stavolta piccola. E degli spartachisti? Weimar anche in Italia si pronuncia ormai ueimar all’inglese. Lungo i canali si fanno gite in barca organizzate! Per vedere che? Davvero roba da brividi. Vestigia silenziate dall’indifferenza e dalla velocità: indifferenza come sopravvivenza.

Primeggia invece la storia recente a Checkpoint Charlie, ma conviene scappare da un luogo ormai ridicolo.

Charlottenburg è una sterile difesa delle origini. Non ero mai stato al castello di Carlotta e di Federico I. Un piccolo esercito di operatori anziani mantiene meticolosamente l’edificio, puntigliosa ricostruzione curata anche con il  trasloco di suppellettili residuate dai bombardamenti. Gli anziani si aggrappano allo spirito che ha fondato lo stato prussiano. Ma lo spirito dei tempi non si è svolto, è stato interrotto  e questa finzione non riesce a farlo rinascere. Anzi diventa testimone di una tremenda discontinuità, si sente la rottura, il taglio delle radici.

Pergamon, la cultura rubata. Le mura di Ishtar sono una delle cose più sorprendenti che abbia mai visto, anche se mi sono sempre chiesto cosa ci facciano a Berlino queste meravigliose opere di una civiltà passata. I precursori di Ernst Toth - nemico di Indiana Jones - avevano già trovato e asportato il Santo Graal. Una guerra di primato per il furto di identità e di dominio. Certo i tedeschi non sono stati i soli e tutti gli europei hanno partecipato al combattimento. Vestigia di un colonialismo culturale dell’Europa che non fanno cultura nazionale.

Potsdamerplaz terminata. Avevo visto i lavori di avvio, ora vedo i grattacieli ma sono solo tre e non sono poi così tanto alti. Comunque paiono segnali di una ricerca di omogeneizzazione con la metafisica ambientale occidentale. Renzo Piano forse l’aveva pensata un po’ diversa, più legata alla tradizione europea ma è stato sconfitto, oppure hanno perso i vincitori. Il vero vincitore forse è il centro commerciale che incarna la mediazione tra cielo e terra, in cui veramente scorre la vita di migliaia di persone. Un reale contenitivo e per niente effettuale,

Berlino, né in cielo né in terra, sospesa in bilico tra un passato che non è più e un futuro non ancora previsto ma solo indirizzato.

A pochi passi da Potsdamer, accanto al grande labirinto di pietre monumento dell'olocausto, si insinua la natura. Su terrazzamenti di terra riportata sono stati impiantati filari di vite. La natura pervade Berlino, i tigli sono i suoi alberi ma la vite non è certo autoctona. Ancora simbologia, forse è un installazione artistica. Comunque mi fa pensare ad un’altra possibile mediazione tra cielo e terra che non sia un centro commerciale, ma un richiamo forte ad una mediazione di vita. Una testimonianza di disomologazione contro l’oblio. Viene in mente Joseph Beuys e gli alberi di Kassel. Forse l’arte contemporanea è il vero terreno di profonda riflessione della cultura tedesca e dentro la simbologia della vite è situato l’incrocio della cultura laica, della suggestione religiosa dell’arciepiscopus Kasper e anche degli ebrei.  Meno male che ritornano gli ebrei: forse sono una rinnovata continuità di vita di questa città.

Ancora a Kreuzberg integrazione identità o moltitudine. Ai bordi del quartiere turco, accanto al museo ebraico, asili e scuole infantili con tanto di insegna di luoghi interkulturelle. Si notano i nuovi insediamenti dei missionari laici della multiculturalità, i progressisti, i migliori. Abitano appartamenti di lusso situati di fronte a vecchie case popolari, tanto design contro con lo stile cupo degli anni passati, grandi vetrate invece che piccole finestre su facciate grigie. Ma siamo ai margini del quartiere, a Friedrichshain. Qui si perde l’interculturalità, tutto diventa identità turca, persino la povertà che non tarda ad apparire e forse sopravanza l’identità e a volte diventa addirittura ostentazione commerciale. Mangiare un hamburger in uno dei nuovi locali alla moda fa quasi schifo. Unto e sudicio ovunque, pareti non imbiancate da una vita, ma con graffiti.

La notte comincia presto a Kreuzberg, i giovani elfi che si aggirano per la città di giorno, dopo le sei del pomeriggio  incominciano a fare i pinguini per la strada davanti ai locali, come in ogni altra città. La notte comincia presto anche per la polizia. Una teoria di retate e perquisizioni, questo è il modello berlinese cui vorrebbero ispirarsi i nostri politici. Ma la vera sicurezza, che comunque si avverte, forse dipende da un parallelo sistema di comando del territorio: sembra che l’ordine sia garantito da una presenza non istituzionale. La massa dei giovani è comunque imponente come la frammistione di corpi. Queste presenze stanno dentro il futuro disegnato? Oppure rappresentano una variabile non contemplata?

I giovani elfi diventeranno lupi famelici di democrazia o boni cives?

Berlino Very Cheap? Non diciamo sciocchezze. A fronte dei panini e dei fast food c’è ancora il crapulone di Grosz. Sbirciando dalle vetrate dentro i ristoranti alla moda, si vede una nuova oligarchia di persone simili a quelle di Grosz. Pare di star dentro l’uovo del serpente, anche per l’uso smodato di contanti. Le carte di credito spesso non sono accettate a dispetto di un sistema finanziario tanto esaltato. In questi anni di crisi non si è ancora capito se le banche tedesche siano davvero così solide come vogliono farle apparire. Frankfurt sembra lontana.

Ma allora il fronte dov’è? Si è spostato, anzi sono due.

I  telegiornali e palinsesti tv danno grande rilievo al dibattito sull’offerta di Siemens per la Ferrari francese Alstom. Oltre al cash, i tedeschi cederebbero ai francesi tutto il settore ferroviario. Incomincia a disvelarsi il mistero dell’ora di ritardo all’arrivo! Dunque la privatizzazione non deve aver dato i frutti sperati. Non capisco se, incluse nelle trattative, c’è anche la gestione delle vecchie linee ferroviarie, i binari ereditati dalla DDR. Prendersi il settore dell’energia della Francia non è comunque un’idea da poco. Ma il fronte è caldo e a contrapporsi sono ancora gli americani con la GE che offre una valanga di denaro contante. I vecchi ICE cugini del pendolino (c’è chi dice copiati e male) sono un ramo d’azienda cedibile, in cambio della tecnologia per l’energia. Il problema che emerge è  proprio quello dell’energia: è forse qui che nasce  da sempre l’ossessione orientale. La dismissione delle centrali nucleari va lenta, il carbone ha ancora un ruolo importante, le rinnovabili si vanno sviluppando, il gas russo è sempre più appetibile.

La crisi ucraina è l’altro tema che ci accompagna. I giornali e i media insistono su quella che mi piace ancora chiamare Ostpolitik. L’altro fronte è quello orientale, ancora richiamo profondo e necessario delle risorse della Russia. Ma anche in questo ambito si apre il confronto con gli Usa. La Polonia, gli stati baltici ma anche quelli centrali e meridionali - come mi sembrava di intuire e dicevo agli amici due anni fa nel viaggio dedicato - hanno una vistosa presenza americana, quasi a costituire una cintura di costrizione nei confronti della Russia, ma anche della Germania.

In questo scenario geopolitico, il confronto e lo scontro si fa a tre e l’Ostpolitik sembra vacillare. E’ una politica piena di contraddizioni e non può essere autonoma. La crisi ucraina conferma questo scontro che è vicinissimo a Berlino e in cui la politica tedesca è totalmente immersa. Per la strada si avverte che il conflitto non è più fisicamente qui come quando c’era il Muro. Si è spostato ad est, nei paesi che hanno aderito alla Nato, ma Bratislava è comunque vicinissima. La Germania ancora una volta sola - col suo strabismo est-ovest - ma più che mai in bilico e sul bordo di un nuovo caos.

A proposito di Ostpolitik, la SPD ha votato di nuovo i crediti di guerra? Mi chiedo come reagirà dopo le elezioni, con l’ineluttabile presenza di antieuropeisti nel parlamento di Strasburgo. D’altra parte non sembra l’eterno ritorno: Cina-Giappone, Vietnam-Cina? Le truppe americane che tornano nelle Filippine sono uno scenario devastante, ce la faranno a mantenere la pace?  E l’Europa? Strani sentimenti, ma concreta è la percezione di una città, ma anche di una nazione, in bilico, spinta ai limiti di una politica continentale che sembra perpetuarsi dall‘800.

Da Berlino a Monaco: Il giorno della settimana è lo stesso dell’andata e il ritardo del treno anche, ma lo scenario è radicalmente cambiato. Ci troviamo in mezzo ad una festa cittadina per la vittoria del Bayern Monaco. Modificati anche gli attori: in giro ci sono solo tedeschi che dilagano con le loro bandiere, i pantaloni corti di pelle segno dell’identità regionale, qualche sombrero e travestimento da donna. Competizione, esultanza per la vittoria e identità rendono il clima particolare. Al tutto si aggiunge Joseph Guardiola che tende ad eccitare e dice stupidaggini: prima l’equivoco del “München Über Alles” e poi, mitigandosi, la replica adeguata geograficamente della famosa frase di Kennedy a Berlino .

Sovrintende una polizia non esposta ma presente, che ha transennato in maniera concentrica tutta la città vecchia. Nel 2001 a Berlino quando, in seguito alla vittoria del Galatasaray, i tifosi turchi accennarono una manifestazione sulla Kurfuster, bastò una poliziotta per dissuaderli. Tecniche di polizia. Per fortuna inizia a piovere, è meglio ritirarsi.

In Austria

In treno. Noi azzardiamo un “ma che cosa vogliono?” dopo che due poliziotti austriaci, in barba al trattato di Schengen, ci chiedono i documenti. Chi li ha mandati non crede certo di fermare l’immigrazione clandestina, che sicuramente non prende il treno. La provocazione è comunque evidente. Certo è colpa della discontinuità dei governi italiani che finiscono per essere troppo deboli. Addirittura troppi e poco efficaci: è la sintesi politica di una vecchia signora ormai tedesco-italiana. Vive in Germania da cinquant’anni, non è come i giovani elfi, la prima immigrazione  ha fatto suo il senso di una forte stabilità.

Il suo “ci vuole un governo definitivamente stabile in Italia” dà anche il senso al proposito della nuova governance che gira in Europa: la grossa coalizione come assetto di governo in tutti i  più importanti paesi. Il pensiero corre alle prossime elezioni, non sarà così facile per la Germania governare il continente dopo il 26 maggio, ma la strada scelta non ha alternative o vie di fuga. Germania sempre più in bilico, nonostante i muscoli lucidati dell’economia. Le forze centrifughe dei periferici potrebbero evidenziare ed esasperare tutte le contraddizioni, rendendo tardivo l’intervento di Draghi.