MEDITERRANEO, IL BRIVIDO DELL'INCERTEZZA
Salvino Busuttil
05 mag 2014
MEDITERRANEO, IL BRIVIDO DELL'INCERTEZZA

Frase d’ordine, lo sviluppo sostenibile sostenuto come fine principale per l’umanità in quella visione globale che le Nazioni Unite a Rio de Janeiro prospettavano nel 1992, e piû tassativamente a Rio piû 20 nel 2012, ritiene tuttora l’attenzione dei governi in tutto il mondo, benchè con percezioni differenti di in che cosa consiste e come ottenere una qualità di vita consistente con la primordiale visione. Frutto principale della riunione di Rio nel 2012, fu la creazione alle Nazioni Unite a New York della Commissione mondiale per lo sviluppo sostenibile, così come frutto della prima conferenza sull’ambiente, a Stoccolma nel 1972, fu l’emergere del Programme delle Nazioni Unite per l’ambiente.

In seguito alla conferenza del 1992, dove rappresentai il Programma delle Nazioni Unite per il Mediterraneo, suggerii allora, con la complice ispirazione di Elisabeth Mann Borgese, alle Parti Contrattanti della Convenzione di Barcellona (1976) la creazione della Commissione mediterranea per lo sviluppo sostenibile. Alcuni anni dopo la Commissione fu la prima entità regionale del genere.

Quella Commissione, il cui statuto inizialmente fu elaborato da Elisabeth e da me, fruiva di certe innovazioni, principalmente nella sua struttura per cui tutti gli ‘stakeholders’, cioè governi, entità regionali e rappresentanti della società civile, fossero membri del consiglio di governanza con pari poteri.

Però la filosofia basilare della Commissione fu di proteggere il matrimonio tra sviluppo e ambiente, considerato questo nella sua dimensione più ampia in modo che abbracciasse i settori sociali, economici e politici. Inizialmente, questa proposta non piacque alla direzione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente la quale dalla sua sede di Nairobi apparve lontana dalle realtà esistenti in altre parti del mondo. Guidato all’epoca da una canadese per cui l’ambiente era soltanto ecologia, il Programma non volle essere considerato rivale dell’altro grande Programme delle Nazioni Unite, il ben noto United Nations Development Programme (UNDP).
Non fu un iter facile cambiare questa mentalità. Ma praticamente tutti gli Stati Membri del Programme per il Meditarreneo, finalmente capirono, benchè con certe riserve, l’attualità della proposta, e nacque la Commissione.

Un problema persistente nel modus procedendi della Commissione era il suo legame ‘ombelicale’ col Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP, nato dal concetto originario del Programme per il Mediterraneo, un organo bicefalo in quanto benchè la politica del Programma fosse determinata dalle Parti Contrattanti, la sua amministrazione era ed e’, in ultima analisi, dettata dall’Unep che nomina e paga sia il Coordinatore che il suo personale. Succede che, nella natura di qualsiasi simile entità di uomini, chi finalmente paga abbia anche, se non per diritto, ma quasi per consuetudine, il potere di influenzare, se non addirittura determinare, l’andamento anche della politica seguita dallo stesso Programma per il mediterraneo.(PAM)

Data le riserve a cui accenno sopra, questa situazione ha creato, e crea, un’ambivalenza e dicotomia nell’attuazione del PAM, di modo che praticamente dalla sua creazione è rimasto vassallo di Nairobi nell’esecuzione delle decisioni prese dalle Parti Contrattanti.

In questo scenario, non ci stupisce il fatto che al di la’ delle dichiarazioni ufficiali promettendo che la Commissione per il Mediterraneo avrebbe avuto la sua indipendenza, infatti agisce grosso modo sui binari allestiti e indicati da Nairobi.

Bisogna sottolineare che la colpa non è totalmente attribuibile all’UNEP, sicchè le Parti contrattanti non si sono mostrati munifici verso la Commissione, negandole infatti le risorse finanziarie e umane dalla sua ampia vocazione richieste.

É chiaro che affinchè la Commissione possa agire in modo d’ adempiere alle responsabilità richiestele dal suo statuto, le persone che la gestiscono debbano avere le qualifiche e le esperienze necessarie. Perchè che la Commissione abbia come mandato tutto lo spettro dello sviluppo, bisogna che il personale che nè è responsabile abbia capacità, oltre il puro ecologico, anche per affrontare problemi sociali ed economici che fanno parte integrante dello sviluppo sostenibile.

Probabilmente, lo strumento più efficace di cui la Commissione attualmente dispone, a livello di programmazione, è il Plan Bleu, che, operando da Montpellier (Francia), è uno dei centri operativi regionali del PAM. Già negli anni passati, i suoi esperti hanno elaborato un testo su tutti i problemi principali del mediterraneo che rimane il libro di referenza per il mediterraneo odierno e per la visione del futuro tramite i differenti scenari che il Plan Bleu nel testo propone.

Propongo questo dibattito perchè mi sembra che il Mediterraneo abbia saputo arricchirsi di uno strumento teoricamente adeguato a gestire lo sviluppo sostenibile in tutto il bacino, ma non sia riuscito a ben utilizzarlo. Avevo auspicato, al tempo della creazione dell’Unione per il Mediterraneo (UpM), che tale Commissione potesse abbracciare , senza soffocarli, le varie enti ufficiali già esistenti di modo da sinergizzare le loro responsabilità, esperienze, e risorse umane e finanziarie. Penso, per esempio, al CIHEAM, al CIESM, al Consiglio mediterraneo per la pesca (in seno alla FAO), e, a livello più altamente politico, al Processo Cinque Piû Cinque.
Che tale auspicio non fosse realizzato è attribuibile da una parte alle solite reticenze di ‘turf-minding’ anche da parte d’enti unesiani, e d’altro canto dall’esitazione da parte delle nazioni di cedere un po’ di ‘sovranità.

La nuova strategia della Commissione annunziata alcune settimane fa a Malta (che detiene quest’anno la presidenza, nella persona del suo Ministro per lo Sviluppo Sostenibile) colma le necessità e i desideri degli Stati che godono le sponde mediterranee in materia di sviluppo sostenibile, con la naturale enfasi sulle zone costiere dove piu’ del 75% dei popoli della regione abitano. Concepita nel senso ‘olistico’, la strategia vuole estendere il concetto di sostenibilità a tutti i settori della vita sociale, economica a culturale dei paesi che costituiscono il Mare Nostrum, o il Mare Bianco. Sottolinea che si tratta di persone umane e non di fattori meramente ecologici, sicchè il vero sviluppo sostenibile deve essere la sostenibilità dignitosa del cittadino, anche se transita ‘ irregolarmente ‘ e pericolosamente sulle nostre onde.

In occasione della presentazione ufficiale della nuova strategia, ho suggeerito, come aveva fatto già anni addietro prima che Sarkozy avesse proposto la ‘sua’ Unione, che la Commissione ben provveduta nell’insieme delle sue risorse, diventasse lo strumento principale per attuare i grandi progetti multi-laterali per lo sviluppo totale e completo della zona mediterranea. Tale proposta fu accolta con entusiasmo sia dalla presidenza maltese sia dal Programme d’Azione per il Mediterraneo. Speriamo che possa attuarsi.

La nuova strategia della Commissione vuole promuovere il progresso verso la sostenabilita’ economica, sociale e ambientale, come pure nella governance. Per realizzare tali scopi, la strategia propone, al di la della crescita economica, la riduzione delle disparita’ sociali, la trasformazione della produzione quando essa non e’ sostenibile, cambiando pure lo stile di vita del consumatore, e assicurando la gestione sostenibile delle risorse naturali. Per ottenere cosi’ alte finalità, la Commissione dovrebbe, secondo la nuova strategia, favorire sistemi di governance, ad ogni livello, locale,nazionale e regionale, che possano consentire un vero sviluppo dell’uomo nella ampiezza della sua integrità umana.

Sottolineo il lavoro potenziale della Commissione perchè i paesi mediterranei rimangono, come sono sempre stati, individualisti, e l’idea di concertare a scopi comuni non è sempre ben accolta.

La stessa eterogeneità regionale rende problematica tale cooperazione. I bisogni non sono sempre comuni benchè alcune necessità si verificano in molti paesi. La provvista e distribuzione idrica è ovviamente uno dei temi centrali per un progetto pan-mediterraneo, come lo è la produzione energetica. É ovvio, d’altro canto, che la Libia non abbia problemi di petrolio, e ha costruito il Great Man-made river system nei tempi di Ghaddafi. Ugualmente, parlare di sviluppo sostenibile in un grande paese come l’Egitto con i suoi milioni alla soglia della poverta’ debba avere un significato differente da quello libanese; e gli stati maghrebini, benche’ abbiano grosso modo gli stessi bisogni di sviluppo, non condividono per il momento lo stesso concetto di governabilità nazionale. Si spera che quella primavera araba che ci lascia oggi perplessi possa avere, nel Maghreb emergente, un’estate sull’orizzonte non troppo lontano.

L’Occidente non ha ancora capito il mondo mediterraneo; e il concetto sarkoziano ha sofferto di un difetto basilare nel dare l’impressione, non voluta, che era il Nord e non il mediterraneo che programasse la struttura e il lavoro dell’UpM. Fu naturale lo scetticismo di vari Stati meridionali fra cui spiccava il Marocco verso l’Unione, percependola come la continuazione, diversamente vestita, del vecchio programma dell’UE per il mediterraneo, noto per il suo quasi totale fallimento.

Dove va il Mediterraneo oggi ? L’entusiasmo per l’UpM non pare che sia cresciuto, e si nota un livello di compiacimento come alla vigilia di un grande evento di cui non si conosce l’ampiezza. Si sente che c’è una certa tensione non percepita, di un domani di cui non si conosce l’alba, di un futuro per il quale il presente non ci prepara. L’unico brivido è quello dell’incertezza.

Questo stato di relativa calma, che non è segno di pace, deriva dalla mancanza di leadership profetico in praticamente tutti gli Stati della regione, sia quelli europei sia quelli arabi, con il conflitto arabo-israeliano ancora irrisolto, vicini ad un Iran e una Siria che ci lasciano, per ben note ragioni differenti, perplessi e ansiosi.

É sintomatico che in una parte del mondo dove la credenza religiosa abbia da tempi immemori condizionato lo sviluppo della società umana, e la sua sostenibilità attraverso i secoli, sia la voce del Leader cristiano, povero fra i poveri, il faro di quella speranza che unicamente il Signore della Storia nei nostri cuori abbia inserito.